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Elio Fiorucci, celebre stilista di recente scomparso, aveva ceduto agli inizi degli anni ′90 alla multinazionale giapponese Edwin Co. alcuni marchi denominativi e figurativi contenenti il patronimico “Fiorucci”.

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Nel maggio 2004 lo stilista aveva deciso di registrare il marchio “Love Therapy by Elio Fiorucci” per contrassegnare svariati prodotti e servizi: dai capi e accessori d’abbigliamento sino alla vendita di dolcificanti ipocalorici. La Edwin Co. titolare dei diritti sui marchi “Fiorucci” non aveva tardato a rivolgersi al Tribunale di Milano lamentando la violazione dei propri diritti esclusivi e la concorrenza sleale per imitazione idonea a generare confusione.

Giova ricordare che questa nuova controversia segue una precedente vicenda giudiziale sorta tra le parti nel 1999 e riguardante la registrazione del marchio denominativo “Elio Fiorucci” da parte della società giapponese. La Corte di giustizia interpellata in merito aveva accolto la tesi dello stilista affermando che il titolare di un patronimico divenuto notorio ha il diritto di opporsi legittimamente all’utilizzo di tale nome come marchio, in caso di mancato consenso alla registrazione.

Per quanto riguarda il caso più recente tra le medesime parti litiganti il Tribunale di prime cure aveva ritenuto che la registrazione e l’uso del marchio “Love Therapy by Elio Fiorucci” non andasse a ledere i diritti dei precedenti marchi anteriori “Fiorucci”, in quanto utilizzava il cognome insieme al nome del designer e inoltre impiegava la particella “by” indicando l’intervento personale del celebre stilista, il tutto in una posizione defilata rispetto al “cuore” del marchio (Love Therapy). Secondo il Tribunale il marchio in questione era stato usato legittimamente in funzione descrittiva e non distintiva; tesi successivamente accolta anche nella decisione della Corte d’Appello di Milano

La Suprema Corte si è pronunciata sulla controversia il 25 maggio 2016 con sentenza n. 10826, sovvertendo il pronunciamento dei primi due gradi giudizio.

La Cassazione ha sostenuto che la persona che registra il proprio patronimico come marchio e poi cede il marchio a prezzo congruo può ancora utilizzare il patronimico a patto che tale uso sia innanzitutto conforme ai principi della correttezza professionale, sia utilizzato in funzione descrittiva delle proprie attività professionali e solo a condizione che non si produca un effetto di agganciamento e confusione.

Nel caso in questione l’impiego del cognome Fiorucci aveva ampiamente travalicato la funzione descrittiva dell’attività svolta dal celebre stilista, essendo tale segno distintivo impiegato per servizi e prodotti di altre imprese e per attività di merchandising, cobranding e comarketing, creando un effetto di agganciamento parassitario con i marchi dei precedenti cessionari.

Alla luce di quanto affermato in sentenza, sembra preferibile predisporre un’accurata regolamentazione contrattuale nel caso si volesse utilizzare un patronimico che abbia come in questo caso acquisito valenza di brand, in particolare attraverso la stipulazione di contratti di concessione di utilizzo dello stesso, accompagnati di volta in volta da tutte le condizioni contrattuali necessarie a salvaguardare le iniziative commerciali dello stilista da un lato e gli interessi dell’impresa acquirente dall’altro.


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