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La legge di stabilità 2015 (legge n. 190/2014) ha finalmente varato il patent box, ossia un regime di agevolazione fiscale a favore delle imprese titolari di diritti di proprietà intellettuale che investono in ricerca e sviluppo. Atteso da tempo come segno del concreto interesse del governo nei confronti dell’innovazione, e degli strumenti giuridici che ne consentono la tutela, il provvedimento legislativo ha suscitato un certo sconcerto fra gli addetti ai lavori. Nella versione originaria del provvedimento (art. 1, co. 39), infatti, rientravano nel patent box le opere dell’ingegno, i brevetti, il know- how e il segreto in campo industriale, commerciale e scientifico.

Non vi rientravano però i disegni e modelli, ai quali è affidata la tutela dell’Italian style che ha reso il nostro paese famoso nel mondo; e non vi rientravano tutti i marchi, ma solo quelli «funzionalmente equivalenti ai brevetti». Strano istituto di proprietà industriale, quello del marchio funzionalmente equivalente al brevetto! In tanti ci siamo fatti un serio esame di coscienza (come mai non lo conoscevamo?) e abbiamo svolto accurate ricerche, nel dubbio che qualcosa di fondamentale ci fosse sfuggito: niente, del «marchio funzionalmente equivalente al brevetto» nessuno aveva mai parlato! Né era rassicurante la prospettiva che la nuova figura dovesse essere definita da un decreto del Ministero dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministero dell’economia e delle Finanze, come prevedeva il comma 44 dell’art. 1.

Qualcuno, per fortuna, deve aver mandato un tweet al governo, che veloce come il fulmine ha rimediato all’errore con l’equivalente normativo del tweet: il d.l. 24 gennaio 2015, n. 3 (di appena un mese successivo alla legge di stabilità) si è ricordato dell’importanza del design italiano, e esteso i benefici ai disegni e modelli. E, con buona pace di quanti si occupano di proprietà intellettuale, ha abolito l’obbrobrio dei «marchi funzionalmente equivalenti ai brevetti», stabilendo che nel patent box rientrano tutti i «marchi d’impresa».

A questo punto, non resta che sperare nella tempestiva conversione in legge del decreto, per la definitiva e pietosa cancellazione dell’errore.

Avv. Paolina Testa


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